Il piazzale è occupato da una strana fila. Non una vera e propria fila, è piuttosto un lungo serpentone che si produce in due, tre curve, poi ad certo punto compie una parabola per immettersi sotto i portici e infine dirigersi verso il negozio. Una coreografia d’autore.
Sto qui, a un metro e ottanta dagli altri. Gli altri: alcuni hanno la mascherina, mascherina e guanti in lattice, come me. Una signora indossa guanti di lana e sciarpa, pare in partenza per un'escursione. Ci si arrangia come si può, immagino. Si chiama distanza sociale.
Qualcuno ha portato le sportine da casa, altri hanno il
carrellino personale poi c'è chi usa il carrello del supermercato. In
prossimità del portico due anziani chiedono: “Chi è l’ultimo?”, come dal
medico. E, si siedono sulle panchine sotto le arcate. Vedendoli così inquieti mi
scopro a pensare: “Non hanno in famiglia un parente che gli eviti questa pena,
che gli impedisca di esporsi al virus?” Evidentemente no. Li lascio passare
avanti, tanto a me che cambia (Verrò a sapere, dalla cassiera, che fanno la spesa due o tre volte al giorno).
Un ragazzo si sposta di lato, parla al telefono con la mamma,
un aggiornamento lista della spesa <<più latte, farina, ricorda
l’amuchina, no, le zucchine, non prenderle!>> (Novizio alle incombenze domestiche. È lo stesso che vedrò nel panico di fronte al sedano).
Un tizio mette su “L’anno che verrà”
di Lucio Dalla. Qualcuno fa il coro. Per il resto un silenzio composto,
come ai funerali, però, meno triste, più una sorta di dignitoso rispetto. Gli
smartphone hanno trasformato tutti in dj. Mi ha messo
allegria.
A contingentare gli ingressi c’è una simpatica guardia giurata, con cui
scambio qualche impressione. E, mentre aspetto il mio turno, ripenso ad un
raccontino che riscrivo da alcuni anni e non riesco a chiudere. Anche lì c’era
una fila, guanti e mascherine, tra gli attori una specie di cerimoniere degli ingressi. Fa
parte di una serie di racconti che ho iniziato a scrivere tre anni fa. Ci sono tornata sopra più volte. Negli anni, ho fatto leggere le prime versioni imperfette, confuse a
qualche amica/o. Poi l'ho lasciato decantare, assieme agli altri.
Oggi, ho deciso di correggerlo, fidandomi
del mio istinto, e pubblicarlo sul blog. Pertanto, a coloro che vorranno
leggerlo, propongo una fila immaginata prima, quando mai avrei
pensato alla distanza sociale, intesa come la stiamo vivendo in questi giorni o al realizzarsi nel quotidiano di certe fantasie alla “Black Mirror”.
L’obiettivo della storia era raccontare il ridicolo che è in noi, ridere delle cerimonie dell’arte contemporanea, niente di più. L’idea della fila, infatti, mi è venuta pensando a “The Floating Piers” di Christo, la coda lungo la piattaforma galleggiante sul lago di Iseo e alle persone in attesa di “The Artist is Present” di Marina Abramovic. Il tema è quello della meta irraggiungibile, con conseguente sentimento di frustrazione, ispirata ai cartoni “Wacky Races”, quelli di Dick Dastardly e Penelope Pitstop.
L’obiettivo della storia era raccontare il ridicolo che è in noi, ridere delle cerimonie dell’arte contemporanea, niente di più. L’idea della fila, infatti, mi è venuta pensando a “The Floating Piers” di Christo, la coda lungo la piattaforma galleggiante sul lago di Iseo e alle persone in attesa di “The Artist is Present” di Marina Abramovic. Il tema è quello della meta irraggiungibile, con conseguente sentimento di frustrazione, ispirata ai cartoni “Wacky Races”, quelli di Dick Dastardly e Penelope Pitstop.
Per il momento niente mostre, solo video e conferenze on line.
In futuro, quando ci re-incontreremo in fila per Tomàs Saraceno, Raffaello o Martin Parr, diremo: “Ti ricordi, quei tempi, quando si poteva uscire soltanto per portare il cane a pisciare e, al supermercato si faceva la fila a serpentone, distanziati a un metro l’uno dall’altro?”
Per ora, buona lettura.
In futuro, quando ci re-incontreremo in fila per Tomàs Saraceno, Raffaello o Martin Parr, diremo: “Ti ricordi, quei tempi, quando si poteva uscire soltanto per portare il cane a pisciare e, al supermercato si faceva la fila a serpentone, distanziati a un metro l’uno dall’altro?”
Per ora, buona lettura.
La Fila (Wacky Races)
Lungo il marciapiede, si
accalcava una folla informe e, man mano che questa si avvicinava all’ antico
palazzo, incredibilmente si ricomponeva in una fila ordinata. A vederla dal
balcone, la scena sembrava il consueto procedere dei turisti verso la
biglietteria del museo, niente di particolare, semplicemente quello che
accadeva ogni giorno, tutti i giorni dell’anno.
Tra quei giovani mi era parso di vedere una coppia di anziani. Lui era uno di quei soggetti nervosi, senza posa, ogni tanto allungava il collo verso lo smartphone del tipo che gli stava davanti, poi si spostava di lato, uno o due passi, soltanto per verificare che tutti stessero rispettando l’ordine di arrivo, poi, rientrava in fila e, rifaceva altri due passi, sul lato opposto. Immagino per verificare il numero di persone prima e dopo di lui.
Tra quei giovani mi era parso di vedere una coppia di anziani. Lui era uno di quei soggetti nervosi, senza posa, ogni tanto allungava il collo verso lo smartphone del tipo che gli stava davanti, poi si spostava di lato, uno o due passi, soltanto per verificare che tutti stessero rispettando l’ordine di arrivo, poi, rientrava in fila e, rifaceva altri due passi, sul lato opposto. Immagino per verificare il numero di persone prima e dopo di lui.
- Aleardo hai notato? I primi
della fila guardano in faccia gli ultimi, che trovata simpatica! - Diceva lei. -
Sì, sì… - rispondeva vago, distratto dai vicini di coda. Poi ancora
due passi di lato, dava una sbirciatina e rientrava al suo
posto.
Un strano movimento aveva attirato la sua attenzione: alcune persone procedevano disinvolte verso l’ingresso, mostravano semplicemente lo schermo del proprio telefonino ad un tizio in tuta arancione e, andavano avanti.
Un strano movimento aveva attirato la sua attenzione: alcune persone procedevano disinvolte verso l’ingresso, mostravano semplicemente lo schermo del proprio telefonino ad un tizio in tuta arancione e, andavano avanti.
Il tizio con la tuta, sembrava
uno di quei detenuti dei film americani. Il fatto lo innervosiva. Non il tizio
con la tuta, sia chiaro, ma quelli che passavano con il telefonino in bella
vista.
- Buongiorno a voi, sono il
vostro custode. Benvenuti alla Presenza, l’evento
dell’anno. Durante tutta l’esperienza sarò coadiuvato da alcuni
assistenti. Per ogni necessità potete contattarli. Si trovano lungo la fila a
vostra disposizione. Li riconoscerete dalla divisa arancione.
Ecco qui svelato il mistero,
che aveva così tanto entusiasmato la signora Ortensia, la fila era in realtà un
cerchio. Gli ultimi arrivati potevano parlare con i primi. A dividerli solo una
coppia di separatori in metallo chiusi da un cordoncino rosso. Un custode, vestito
come un portiere d’albergo, istruiva gli avventori. A contingentare gli
ingressi, assistenti in tuta arancione.
Presenza era l’ultimo progetto di
un’artista che si faceva chiamare Cosa. A distinguerlo era l’invisibilità. Negli ultimi anni si erano fatti molti nomi e
ipotesi, circa la sua identità. Le operazioni artistiche erano state attribuite di volta in volta
ad artisti viventi e, addirittura, ad artisti oramai defunti. Qualcuno aveva
persino ipotizzato che dietro il nome operasse una multinazionale specializzata
in grandi eventi, altri pensavano ci fosse un artista di stampo accademico,
un pittore neo-neo-macchiaiolo avviato verso una decisa battaglia contro l’arte
contemporanea. Le informazioni relative al progetto erano scarse, quasi note a
piè di pagina. La sua identità non era l'unico aspetto ignoto. Nessuno sapeva
in cosa consistesse la Presenza. Ne erano all’oscuro persino i dipendenti del Museo. Tutto era avvolto dal
mistero.
Aleardo non sapeva, che "Il Museo, a tutti i visitatori muniti di prenotazione, garantisce l'opportunità di saltare la fila.
E' sufficiente scaricare una App." In realtà non erano in molti a coglierla. “L’esperienza è
parte dell’evento” - diceva il dépliant – “si completa proprio stando in fila.”
Erano fermi nello stesso punto da ore. Molti erano accorsi esclusivamente per esserci e
postare le foto sui social.
La condivisione sociale era diventata il centro delle attività quotidiane di ogni cittadino munito di un dispositivo connesso ad una rete. La chat di gruppo considerava gravissimo non postare immagini in tempo reale. Pena l'isolamento.
La condivisione sociale era diventata il centro delle attività quotidiane di ogni cittadino munito di un dispositivo connesso ad una rete. La chat di gruppo considerava gravissimo non postare immagini in tempo reale. Pena l'isolamento.
- Sono entrati tutti, noi no. Ecco,
vedi quelli ci passano davanti! - poi rivolto all’assistente in tuta arancione
- Li fa passare prima di noi? Siamo venuti apposta dal paese per vedere la mostra,
non siamo meno di quelli lì!
- Capisco. E’ possibile entrare
solo due per volta, la fragilità dell’evento non permette troppi visitatori
contemporaneamente. I signori hanno preservato da almeno due mesi. Voi avete
preservato? Mi dispiace è un’opzione che il Museo concede a tutti. Potete
scaricare la App di Cosa e preservare.
- App di Cosa? Preservare? Ma
cosa vuol dire? Non so niente, io! Ma come parla questo qui! Bella roba, si
tratta solo di amici degli amici, ecco cos’è!
- Aleardo! Chetatiti! Che
vergogna!
- E’ da ore che siamo qui a
fare la fila sotto il sole! Mia moglie ha le vene varicose, lo sa lei?
- Aleardo ti prego, mi fai fare
sempre brutta figura. Lo scusi.
Il custode nel frattempo
consegnava ad ogni visitatore un sportina di cotone, con il logo dell’evento, contenente
una serie di oggetti. Con un fare piuttosto meccanico ne illustrava l’uso. Lasciava
passare i visitatori a due a due, le famiglie e i gruppi venivano cordialmente
invitati a non protestare, del resto il disagio era minimo. Nell’attesa tutti
chiacchieravano e si scambiavano informazioni.
Più o meno a metà della fila
due giovani ragazze leggevano il dépliant della mostra cercando di farsi
un’idea di ciò che sarebbero andate a vedere. Appena diplomate dall’Accademia,
speravano di scoprire qualcosa del mistero dell’anno, magari essere le prime a
conoscere la vera identità della Cosa.
- Che c’è scritto nel
pieghevole?
- “Il Palazzo ospita una grande mostra che celebra il maestro indiscusso
della dissimulazione contemporanea. Il percorso espositivo unitario tra l’ampia
corte e il piano Nobile ripercorre la carriera dell’artista… accompagnati attraverso l’esperienza di
immersione tra spazio, immagine e suono, dalle prime sperimentazioni degli anni
Settanta fino alle recenti grandi opere” …
- Dice qualcosa a proposito
della Presenza?
- Ehm aspe’… “internazionalmente riconosciuta… persone
volti e corpi… esplorando spiritualità… forze opposte ed energie” … rigirava
tra le mani il libricino, scorreva con il dito tra le righe …” nulla garantisce la sua esistenza” …bla
bla … ” smaterializzazione dell’oggetto artistico”…bla bla…
- Della Presenza non dice proprio niente?
- Niente.
- Dai a me… ”Perché l’esperienza sia profondamente
emozionante è necessario che il
pubblico non abbia nessuna conoscenza.” Non dice niente. E’ vero!
Il custode continuava a far passare i visitatori e consegnare sportine. Il rito era molto preciso, scandito da un tempo regolare e sempre lo stesso testo. Se avessero sostituito il custode, con un distributore automatico munito di voce sintetizzata, il risultato sarebbe stato identico.
- …altri due, prego. Ecco a lei
il visore, i guanti… la mascherina … avete già indossato le soprascarpe usa e
getta? Vi ricordo che la visita …
Ecco il pass…
Nonostante lo sforzo era tutto
piuttosto disordinato. A metà fila però qualcosa interrompeva il disordine,
tutto riacquistava nuovamente una dignità. C’erano due giovani biondi e
cerulei, stavano seduti sopra minuscole seggioline da pescatore e leggevano
assorti un e-book su dispositivi digitali. Mettevano soggezione. Arrivati nelle
loro vicinanze, quelli in fila di solito abbassavano la voce e si davano un
tono.
Sembravano preparati ad affrontare
una lunga fila, erano attrezzatissimi.
Poco distanti due inseganti di
un liceo artistico conversavano sulle sorti dell’arte contemporanea. O meglio,
uno parlava e l’altro fingeva di ascoltare. Erano ad un punto della fila, che faceva da
snodo tra quelli con la App e gli altri, gli sperimentatori dell’esperienza.
- Matteo hai letto gli appunti
che ti ho passato sullo stato dell’arte?
Matteo era sbiancato, come uno dei suoi studenti beccato a
non aver fatto i compiti. - Oddio, no!
- Matteo non li aveva proprio letti. Li aveva posati sulla scrivania, mesi
prima. Ora, giacevano sepolti sotto centimetri di fogli, cataloghi, fotocopie e
libri.
- Mi rinfreschi il contenuto?
Ultimamente passo da una lettura all’altra e ho un po’ di difficoltà a
ricordare. Un accenno? Sicuramente mi viene in mente qualcosa.
In queste circostanze i
professori ritornano spesso studenti. Non era un
pessimo insegnante, anzi, piuttosto apparteneva alla categoria dei mai
cresciuti.
- Ma come, dai, non l’hai letto?
E’ l’introduzione al libro sullo stato dell’arte. Ne abbiamo parlato tanto!
Gli occhi di Matteo fissavano
il vuoto, terrorizzati, come avessero visto la testa di Medusa. Non credeva nell’arte
contemporanea. Era di quelli che pensano all’arte greca come il punto più alto
della creatività e della bellezza. Accettava gli inviti a questi
eventi solamente perché erano frequentati da giovani artisti, soprattutto artiste.
Ne aveva già adocchiate due, avanti a loro nella fila. - Si potrebbe andare a bere qualcosa, dopo sta palla! - rimuginava –
Il prossimo obiettivo è individuare una
strategia di fuga! Primo: zittire “l’antico Paoletti”, secondo avvicinarsi alle
due gnocche, terzo …
- Mi piacerebbe avere il tuo
parere, come ti ho già accennato, in quest’epoca così complessa e allo stesso
tempo decadente, se un settore della cultura si giustifica come esclusivamente
fine a se stesso e, la filosofia e le arti figurative ormai hanno pressoché
raggiunto questo stadio, è possibile che la società lo mantenga ancora in vita.
E’ questo il centro del problema…
- Va beh! Mi arrendo…
- …Noi non dovremmo attenderci
più nulla da esso! Teniamo in vita artificialmente l’arte e in alcuni casi
anche la filosofia, che diciamocelo chiaramente, si è sostituita ad essa.
- Ah! sì, ho chiaro il punto. -
non aveva assolutamente idea di cosa stesse parlando.
- In una società come la nostra
l’arte e filosofia sono costrette o divenire rumorose e a vivere provocando
l’opinione pubblica. Vedi quelle due? - Rivolto alle due amiche artiste - Esattamente
così, sguaiate e vuote.
- Vuote? - aveva pensato – Come
vuote, piene, piene, altro che!
- Oppure, l’alternativa era parlare
con voce sommessa e isolarsi, come quei due lì. - Rivolto ai due inglesi,
assorti nella lettura. - Traggono da sé i propri motivi, senza alcuno scambio
con la società o altri settori della cultura.
- Ehm vuoto, sì - ciondolava
come per annuire e, intanto guardava altrove. Non aveva alcuna voglia di
sentire la lezione del suo collega. Voleva arrivare al punto, vedere la mostra
e passare un pomeriggio al bar. Non sapeva assolutamente niente di Cosa e della
sua Presenza. Infondo era un
insegnante di disegno geometrico, porca miseria!
Aveva notato che le due
ragazzette si sbattevano per avere informazioni sulla mostra. - Qualunque informazione poteva essere utile
per abbordare quelle due. - Bruscamente aveva detto - Scusa se cambiamo
discorso, ma questo tizio, la Cosa, lo conosci, chi è?
- Mah, non saprei. Ho ricevuto
la comunicazione dal museo, via mail, come sempre. Ero curioso di vedere la
mostra. Ma allora ti interessa?
- Ah! Non lo conosci, eh!
Qualcosa che non conosci, c’è!
- Le note stampa sono generiche, potrebbero riguardare qualunque mostra
degli ultimi trent’anni. C’è una grande
difficoltà a parlare della pittura, c’è una grande difficoltà a vederla, come
dice Baudrillard, “nella maggioranza dei casi, non vuole più essere guardata,
bensì visualmente assorbita, vuole circolare senza lasciare traccia”.
- Ancoraaaaa! Che palle! – pensava
senza avere il coraggio di dire apertamente che non ne poteva più di quel
saccente. Lo sguardo andava alle gambe, piedi scalzi e capelli al vento delle
ragazze - Speriamo che questa fila
finisca presto. Che piombo! Magari ci beviamo una birretta.
Intanto la fila scorreva, il
custode continua nella sua litania… - … siete pregati di indossare l’apposita mascherina
gialla. Grazie per la vostra pazienza. Ecco il pass…
Le due ragazze ridevano e facevano
battute. Una indossava una canotta di seta con minigonna di jeans, decorata
alle giunture con cristalli Swarovski, pareva uno straccio, ma doveva essere
di un’importante stilista. L’amica indossava un vestito a fiori lungo fino ai
piedi, una fascia etnica teneva compatti, tipo un nido, una massa enorme di dreadlocks
color fieno. Erano entrambe scalze.
Oramai,
la tensione si faceva strada anche tra i più tranquilli di loro.
- Che fa spinge? – Aveva detto Paoletti,
rivolto al vecchio Aleardo che cercava di farsi valere dopo ore di fila. Non ne
poteva più di sentire discorsi pallosi, e soprattutto la litania del custode.
- Non faccia il finto tonto,
lei era dietro di me.
- Mi avvicinavo al mio collega
per sentire meglio. Tra le sue urla, quelle due straccione che cantano e
parlano a voce alta, riuscirò a concludere una frase? Ma guarda questo!
- L’ho capita, lei. Con la scusa
della preservazione e della app, passate tutti davanti. Io, da qui non mi
muovo. Era dietro di me e ci rimane!
Le conversazioni erano quasi
sempre a due, riguardavano gli argomenti più svariati, ma a prevalere erano
quasi sempre quelli più condivisi in rete.
Li vicino c’era un’altra coppia.
Lei, Laura, non aveva molto senso dell’umorismo e quasi mai si poneva
l’obiettivo di distinguere tra i momenti impegnati e lo svago. Era interessata solo
ai destini del mondo. Pareva avesse anche la ricetta per risolverli. Lui,
Gianni, era un musicista. Lavorava come tecnico del suono. Aveva una sala prove, con
studio di registrazione, che affittava ad ore. Interessato all’arte, a tutto
quello che ruotava nell’ambito del contemporaneo: performance, arte urbana,
arte relazionale.
Lorianna, li aveva riconosciuti.
- Chiedo a quei due. Lei lavora
in biblioteca, ne sa due strisce!
- Scusate se vi disturbo, noi
ci conosciamo, ci siamo incontrare al work shop sulle Insurgent city[1], volevo
un’informazione.
- Parli con me?
- Sì, mi chiedevo sapete
qualcosa a proposito della mostra?
- Ah! Sì, E’ una retrospettiva
simulata. L’artista ha chiesto ad alcuni giovani studenti di realizzare ex novo
le sue più famose installazioni.
Aveva risposto Gianni,
che aveva voglia di cazzeggiare un po’.
- Non ci sono gli originali?
- No. Temo proprio di no. Tra
l’altro, a quanto pare, gli studenti dell’Accademia si sono rifiutati di
copiare tout court le opere,
avrebbero voluto aggiungere qualcosa di nuovo, ma non gli è stato
consentito. Non sappiamo bene cosa abbiano esposto. Forse lo spettro
dell’opera.
Laura aveva pensato di
puntualizzare, nel caso Gianni non fosse stato abbastanza chiaro - Le idee come
entità autosufficienti. – aveva precisato.
- Idee autosufficienti? Ah!
Capisco.
– Oddio – aveva pensato - avrei
dovuto seguire le lezioni su Derrida, invece di andare in cortile a farmi le
canne!
- Questo potrebbe permettergli
di raccontare il nulla per mezzo del nulla stesso - aveva concluso Gianni,
divertito.
- Grazie, siete stati molto
gentili. - Si era allontanata più confusa di prima.
- Cosa hanno detto?
- Boh! Hanno detto che forse
sono esposte le idee.
- In che senso le idee?
- Lo spettro dell’opera, ha
detto lui. Ma forse mi prendeva in giro, ridacchiava.
- Lo spettro dell’opera? Lo
sapevo! Ecco dovevamo seguire le lezioni di Derrida. Adesso avremmo capito qualcosa!
- E’ quello che ho pensato anch’io,
mannaggia! Dice che è raccontato il nulla per mezzo del nulla stesso.
- Pure! Stai scherzando? Siamo
in piedi da stamattina per vedere il nulla?
- Non so se è proprio così, ha
detto che l’artista ha chiesto ad alcuni giovani studenti di realizzare ex novo
le sue più famose installazioni, forse ci sono queste?
- E noi siamo qui da quattro
ore per vedere delle copie? Magari fatte da Gesuino Pistis, il più coglione del
corso di scultura.
Una velo di malinconia le aveva
rabbuiate.
L’asfalto bruciava. Si erano
rimesse le scarpe.
Non avevano nessuna intenzione di
farsi rovinare la festa, avevano acceso l’MP3, un auricolare a testa e messo su Baustelle “Charlie fa surf”.
Ci sono persone che sanno affrontare
con leggerezza anche i momenti di frustrazione, Siria e Lorianna appartenevano
a questa categoria.
Nel frattempo la coppia di
coniugi continuava la fila.
- Non mi chiedere più di venire
a vedere mostre consigliate da quella tua amica scema che si crede
un’intellettuale! Ti ho detto che se non ci sono quadri non ci vengo più! Di
queste cose che si odorano, si strusciano, si ascoltano in quella specie di
cabine sonore ne ho piene le tasche, va bene? Se non ci fanno passare, entro
mezz’ora andiamo via.
- Ottuso! Non hai un minimo di
curiosità? Poi non è vero che è tutta roba che si odora, struscia e quelle cose
lì. L’altra volta le sculture tutte d’oro ti sono piaciute, mica ti hanno
chiesto di annusare o strusciare?
- Per una volta che c’era
qualcosa di comprensibile! Comunque la maggior parte è robaccia, io capisco
quel che capisco, va bene?
I due inglesi non avanzavano di
un centimetro e proseguivano la lettura del loro e-book. Pochi avevano notato
che indossavano esattamente gli stessi abiti, ma di tonalità leggermente
differente.
- … signori, potete avanzare...
prego. Ecco a lei il visore, i guanti … Grazie per la vostra pazienza. Ecco il
pass…
Le due ragazze dopo aver
ricevuto le informazioni sulla mostra, erano dubbiose sul senso
dell’operazione, ma ci scherzavano su.
- Secondo te è proprio così?
- Il mio professore di storia
dell’arte diceva che viviamo in un
sistema dove la cultura visiva è sempre più amministrata da un mondo dell'arte dominato
da figure promozionali. Può essere pure che Presenza sia curato da Barbara d’Urso, no?
- Magari, finiamo in tv.
Risata.
- …diceva, anche, che gli organizzatori sono sempre più aziende di
comunicazione e intrattenimento che non hanno alcun interesse per qualsivoglia analisi
critica.
- Una curatela non si nega a
nessuno.
- Cosa vuoi, lo sanno tutti che
l’arte è morta!
Risata.
- A proposito, hai visto quel
video dove Lady Gaga appare bendata in un bosco sotto la pioggia, e poi nuda
abbraccia un monolite? [2] Che
figata, mi sa che passo alla performance!
- No! Non ce la puoi fare! La
futura erede di Marina Abramović è Lady Gaga. Non c’è battaglia.
- Mi hai stroncato la carriera!
Ancora, risata.
- A proposito di stranezze, hai
notato i due inglesi?
- Chi i gemelli diversi?
- Tutto ‘sto casino e stanno lì
a leggere senza neppure scambiare una parola.
- Almeno passano il tempo,
riaccendi la musica, se no non ci passa più!
Dopo qualche ora, gran parte
della fila era stata smaltita.
I due insegnati erano entrati.
Non avevano voluto utilizzare l’agevolazione per la categoria così da poter
vivere l’esperienza in tutto il suo
disagio. In realtà, Matteo non voleva allontanarsi troppo dalle ragazze. Uno dopo
l’altro, anche la bibliotecaria e il tecnico del suono e le due artiste li
avevano seguiti a ruota. Gli inglesi erano rimasti a metà fila, seduti a
leggere. Nessuno aveva pensato di avvisarli.
“Due in meno, è sempre meglio di niente” era il pensiero comune.
- …signori, potete avanzare...
prego…
All’interno, non era proprio
come si erano immaginati. Dopo quella lunga fila i visitatori erano
disorientati. Davanti a loro c’era un corridoio buio, molto lungo. Non sembrava
ospitale. Siria era spaventata. Teneva la gonna con entrambe le mani, per
fortuna aveva le zeppe, il pavimento sembra viscido e fangoso.
- E’ BUIO! - gridava
Gianni non aveva più tanta
voglia di prenderla in giro.
- Metti il visore ad
infrarossi.
- SIRIA! NON SI VEDE UNA MAZZA!
- urlava Lorianna.
- Sì, hai sentito il tizio
delle “idee autosufficienti”, metti il visore ad infrarossi.
- Vai avanti… ho un po’ paura!
- E’ l’esperienza, no? – rispondeva
l’amica.
- Laura, quella laggiù sembra
una luce, la vedi? - indicava Gianni.
- Sì, è una luce, se ci
avviciniamo diventa più luminosa. Accelera, sarà l’ingresso alle sale.
- Lorianna vai più veloce,
seguiamo quei due.
- Maledette zeppe. ARRIVO!
Intanto la coppia di anziani
aspettava il turno, sarebbero entrati a breve.
- L’uscita dove sarà? Adesso
che abbiamo fatto tutto il giro, si capisce che c’è solo una porta.
- Avrai mica guardato sempre la
porta, da quando siamo qui?
- Ortensia, ci vuole poco. Da
dove escono quelli che entrano? Da qui non di certo. Io non ho visto uscire
nessuno!
- Saranno usciti mentre eri
impegnato a rompere le scatole a quelli accanto a te.
- Ma cosa capisci tu! Sempre
con quel coso a mandare uozzap alla
tua amica scema. Cosa le mandi foto della gente in fila, tanto sono tutte
uguali!
- Lascia fare, lo so io.
La sua amica, quella che le
aveva consigliato la mostra, lavorava per l’istituzione che aveva organizzato
l’evento. Si occupava degli artisti in residenza, li accompagna in giro per la
città, li aiutava a reperire i materiali per le opere ecc., una sorta di
segretaria fuori sede. Avrebbe voluto tanto essere lì, ma era di turno in un altro
ufficio. Ortensia le aveva promesso le foto della fila, così per ricordo. L’idea
di creare una fila ad anello, le aveva detto, era stata una figata.
… signori, potete avanzare...
prego. Vi ricordo che la visita ha una durata di… avete malattie respiratorie,
raffreddori di stagione siete pregati di indossare l’apposita mascherina
gialla. Grazie per la vostra pazienza …
Arrivato finalmente il loro turno, era entrata anche la coppia di anziani.
- NON VEDO UNA SEGA. ORTENSIA
DOVE SEI?
- Sta bono! Sempre ad urlare.
Sono qui.
- Come fai a espirare
nell’apposito sacchetto. ORTENSIA?
- Zuccone, sei uno zuccone. Sta
zitto e va avanti, va! Guarda quei due e fa come loro.
C’erano state un po’ di difficoltà
di adattamento all’ambiente, Dario Paoletti oltre che da logorrea e pallosità
congenita soffriva di varie allergie. Aveva dovuto indossare la mascherina
apposita.
- Co quetta macchera do riecco
a pallare.
- Hai sentito il custode, se
avete malattie respiratorie indossate la mascherina gialla. Sei sempre
raffreddato, adattati. - La cosa lo divertiva. Per fortuna c’era un dio e si chiama
la Cosa. Per una quindicina di minuti “L’antico Paoletti” se ne sarebbe stato zitto.
- Ortensia, attenta a dove
metti i piedi, qui sotto è pieno di buchi, ed è un po’ molliccio.
- Laggiù si vede una luce,
seguiamola. Dove sono finiti quelli davanti a noi? Non si sentono più.
- Saranno arrivati alle sale della
mostra. Ma non potevano fare un corridoio come tutti gli altri?
- Sta zitto, non capisci che fa
parte dell’esperienza?
- Mi frega una sega dell’esperienza, senti che puzza, sembra una
fogna. Saremo nelle fogne? Con questi intellettuali della fava non si sa mai!
- Quella laggiù sebba uda via
d’uscita. Accelera, sicuramente è l’iggresso alla motra.
- Accelera? E’ una parola con
‘ste buche!
Il ricambio della fila era avvenuto completamente. Erano entrati tutti, fatta eccezione i due inglesi. Non mancava molto alla chiusura eppure erano arrivati nuovi visitatori.
- Pensi che faremo in tempo ad
entrare? L’ultimo ingresso è fra mezz’ora.
- Vai avanti, supera quei due,
tanto leggono… E’ l’ultima opportunità di entrare e questi leggono, che furbi!
- Dai forse facciamo in tempo,
non sono molti quelli davanti a noi!
I due ragazzi continuavano a
leggere senza un minimo interesse a ciò che li circondava. Nessuno aveva
pensato di avvertirli che la fila avanzava. “Due in meno era sempre meglio di
niente”. Nessuno aveva percepito una certa compostezza di portamento,
plasticità nella posa, la cura nell’abbigliamento per niente ricercato, così
banale, giacca e calzoni della stessa tinta ma di tono leggermente diverso. Nessuno
aveva notato la preferenza per oggetti ordinari, ma scelti con scrupolo. Tutti avevano
considerato eccentrico il loro mutismo, ma nessuno aveva notato che non avevano
mai cambiato pagina. “In fondo due in
meno era sempre meglio di niente”. Forse qualcuno aveva notato il loro
distacco, ma si era guardato bene da dargli un senso. Per tutti l’importante
era stato avanzare, procedere, andare avanti, conquistare qualche metro,
arrivare qualche minuto prima all’ingresso. Tutti si erano disinteressati alla
loro Presenza.
- PORTAAAAAAA!
Alieni. Un gruppetto di strani esseri in giubbino catarifrangente giallo, soprascarpe di
cellophane azzurrine, come quelle dell’aeroporto, guantini bianchi di cotone,
occhiali ad infrarossi, mascherina verde o gialla. Qualcuno era sporco di
fango.
Aleardo aveva spalancato la porta.
Aleardo aveva spalancato la porta.
La luce fuori era abbagliante. Assuefatti
al buio, avevano fatto fatica a vedere con chiarezza. Trafelati, sudati e
puzzolenti aspettano che la vista tornasse normale. Aleardo era il primo.
Si era tolto la maschera agli infrarossi. Lentamente, attento a non bruciarsi
la retina, aveva aperto gli occhi. Guardava come una animaletto appena uscita dalla tana. Ricordava il signor Enrico, la talpa di Silver. La bocca era spalancata in uno stupore misto ad angoscia. Gli occhi si erano riempiti di lacrime. Non riusciva a dire una parola.
Di fronte a lui campeggiava una
piazzetta del centro storico, la gente andava e veniva, qualcuno mangiava un
gelato sugli scalini della chiesa, altri si facevano un selfie accanto alla
statua del capitano di ventura, qualcuno comprava un souvenir da un ambulante,
qualcuno altro consultava la cartina, altri semplicemente camminavano verso
il successivo monumento, segnalato dalla guida del Touring.
Da quel buco, nel corso della
giornata erano uscite centinaia di strane figure eccentricamente abbigliate,
tutte un po’ disorientate, un po’ aliene. Nessuno li aveva
guardati veramente. Chi per un motivo, chi per un altro, erano tutti affaccendati nei loro commerci materiali e spirituali, e poi, forse, quegli strani individui
erano soltanto operai della compagnia del gas, attivati per un pronto intervento.
[1]
Espressione che definisce gli spazi sottratti al dominio
moderno e alla pianificazione della città come “spaces of insurgent citizen
ship” essi includono il territorio dei senza casa, le reti dei migranti, i
quartieri dell’appartenenza omosessuale, le periferie auto-costruite, i campi
suburbani degli stranieri.
[2]
Il riferimento è a The
Abramovic Method, 2012, a cui Lady Gaga ha partecipato postando un video
sulla Performance