martedì 4 aprile 2023

Talismani

 



Patricia Lee Smith, conosciuta come Patti, è nata a Chicago nel 1946. Non a tutti è noto che ha intrapreso il suo viaggio nell’arte non iniziando dalla musica, per cui è famosa, ma attraverso la poesia e l’arte visiva. Ha sviluppato una coscienza estetica piuttosto giovane. “(…) Un giorno ho trovato una pila di riviste Harper's Bazaar e Vogue legate con uno spago in un mucchio di rifiuti. Era il 1954 circa. (…) Sono stata particolarmente attratta dalle fotografie di Irving Penn e ho adorato le foto di sua moglie, la modella Lisa Fonssagrives. Mentre frequentavo la scuola elementare, passavo molto tempo nella biblioteca locale. Cercando cose relative a Lewis Carroll, ho trovato un vecchio libro illustrato con i suoi ritratti di bambini. (…) Guardando le fotografie di Carroll, mi sono chiesta: "Perché non possono fotografarci in quel modo?" Tramite Carroll ho scoperto anche Julia Margaret Cameron e sono rimasta molto colpita dalla fotografia vittoriana.”[1].

Nel 1967 si è trasferita a New York. Ha lavorato in varie librerie, frequentato artisti e poeti. Sono gli anni di formazione e sperimentazione, gli anni dell'incontro con Robert Mapplethorpe.
Andy Brown, della libreria Gotham Book Mart, vendeva le sue illustrazioni su carta, generosamente disposte vicino al registratore di cassa. A Andy piacevano i suoi disegni e nel 1973 le organizza la prima mostra.  In seguito Robert Miller, dell'omonima galleria di New York, dopo aver visto la mostra al Gotham Book Mart, le offre una mostra. Passarono alcuni anni prima che la cosa si concretizzasse, ma Miller rimase in contatto costante con lei, anche quando nel 1977 ebbe un grave incidente. Fece la mostra, ma subito dopo diede una svolta inaspettata alla sua vita. "Nel 1977 ho avuto un grave incidente e quando mi stavo riprendendo Robert Miller è venuto a trovarmi e mi ha portato dei libri sul lavoro di Lee Krasner e Joan Mitchell. Era un grande sostenitore delle donne artiste. Aveva un entusiasmo così straordinario. Alla fine mi convinse a mostrare i miei disegni. Gli ho chiesto se io e Robert Mapplethorpe potessimo esibirci insieme. Abbiamo fatto una bellissima mostra e da allora sono stata con la galleria. Mi sono trasferita a Detroit alla fine del 1979 e mi sono lasciata tutto alle spalle. Ho sposato Fred e ho avuto due figli e ho trascorso la maggior parte dei successivi sedici anni concentrandomi sulla mia famiglia, studiando storia dell'arte e scrivendo. Robert Miller non si è mai arreso con me e quando sono tornata a New York nel 1996 mi ha incoraggiato a produrre nuovi lavori." "Quando mio marito è morto alla fine del 1994, ero emotivamente esausta. Non potevo fare altro che prendermi cura dei miei figli. Non potevo lavorare, studiare o creare. Avevo la nostra vecchia macchina fotografica Polaroid, una Land 100, e mi è venuto in mente che avevo abbastanza energia per scattare una fotografia e che potevo vederla immediatamente. Così ho iniziato a scattare Polaroid di oggetti nella nostra camera da letto, dove la luce si diffondeva attraverso la zanzariera drappeggiata sulla nostra finestra. L'immediatezza del processo è stata gratificante. La prima buona foto che ho scattato è stata delle pantofole di Nureyev (Nureyev’s Slippers, Michigan, 1995) e ho provato un immediato senso di realizzazione.” [2] Da allora espone ancora con la Robert Miller Gallery.



La morte è uno dei soggetti preferiti di Patty Smith. Evoca spettri senza alcuna atmosfera inquietante, al contrario, nelle sue polaroid emerge tutto l’amore verso coloro che hanno contribuito a costruire la sua vita artistica e, ancora lo fanno. “Da bambina avevo un grande rispetto per l'oggetto inanimato. C'era così tanta perdita intorno alla mia famiglia. Entrambe le mie nonne sono morte giovani. Quindi un mandolino o un copriletto di pizzo che apparteneva a loro sembrava molto prezioso. I loro oggetti erano l'unico modo in cui potevo evocarli. Immagino che quel senso delle cose si estendesse ai poeti e agli scrittori che amavo. Potevo accedere a Rimbaud attraverso il suo atlante, la sua sciarpa, la sua forchetta e il suo cucchiaio. Ho perso mio marito, mio fratello, Robert, il mio giovane pianista e i miei genitori. Quindi ho un rapporto forte con i morti, anche felice. Traggo piacere dall'avere le loro cose e talvolta fotografarle. Sono così da quando ero giovane. È quello che sono.”[3] Tutti gli scatti paiono inseguire ancora oggi lo spirito pioneristico del dilettante vittoriano, quando agli albori della fotografia contava l’esplorazione, l’unicità, i ritratti dei poeti, la testimonianza, il viaggio, la reliquia dell'opera d'arte, le sfocature e gli effetti pittorici. E’ il pellegrinaggio il tema principale del lavoro. Il viaggio nei luoghi in cui hanno vissuto, scritto o dove sono sepolti gli artisti che l'hanno ispirata. Il continuo ritorno su questi luoghi è l’attività che ha iniziato a praticare dopo la morte del marito Fred “Sonic” Smith. Quello che svolge Patti è un pellegrinaggio sentimentale, alla ricerca dei luoghi, ma soprattutto di oggetti-talismano, appartenuti a donne e uomini che hanno lasciato una traccia nella bambina e ragazza che è stata e nella donna che è oggi. Ha fotografato il letto di Keats, la maschera della vita di Blake, gli utensili di Rimbaud, la bandana di William Burroughs. E' il suo modo di fare loro i ritratti. 




Per i ritratti-talismano Patti Smith utilizza generalmente una fotocamera Polaroid Land 250. Come molti fotografi considerati "non professionisti", negli anni non ha sentito il bisogno di migliorare la strumentazione, al contrario, la sua polaroid 250 è parte fondamentale del progetto, è anch'essa un oggetto talismano. Di solito esce con un pacchetto da dieci scatti, quindi deve riflettere attentamente su ogni immagine. Ha sviluppato un approccio economico dello scatto fotografico sin dai tempi che sperimentava arte e vita con Robert Mapplethorpe, quando entrambi avevano pochi soldi e la pellicola costava molto, ogni ripresa doveva essere buona. Ora, nonostante non ci siano più i problemi economici della giovinezza, c'è pochissima pellicola Polaroid in circolazione, quindi, non è possibile sprecarla. La polaroid le permette di ottenere immagini sempre uniche. Sceglie il bianco e nero, presenta quello che sa sui principi della luce e della composizione, immagini piatte per scelta. Non è interessata alla profondità fisica nelle foto. Le piace immaginarsi simile al dilettante del diciannovesimo secolo. Quell'impulso iniziale di bambina, il sogno di realizzare fotografie come Julia Margaret Cameron si è compiuto. Ogni immagine, ogni polaroid è un individuo, racconta una piccola storia. La genesi dell'impulso creativo non è sempre rintracciabile, è però immediato e indelebile. Questo è il bello di una Polaroid. Guardando ognuna di loro è possibile ricordare com'era il momento dell'inizio. Ogni fotografia è come una pagine di diario della sua vita. Le pantofole di Robert Mapplethorpe “Anche Robert era molto talismanico. Amava le sue pantofole di velluto nero con le sue iniziali ricamate con fili d'oro brunito. Ero molto invidiosa di loro e lui mi prendeva in giro, dicendo: <<So che vuoi le mie pantofole>>. E credo di averlo fatto. Quando è morto, mi sono disperata per le sue cose. Non cose di valore, solo piccole cose che parlavano di lui, di cui le sue pantofole erano emblema. La fotografa Lynn Davis, che era molto vicina a Robert, è stata così gentile da darmele. Le ho fotografate per lei in modo che anche lei potesse averne un po’.” La tazzina da caffè di suo padre Grant: “E' una tazzina da caffè in fine porcellana realizzata per il centenario di Charles Dickens che ho comprato per mio padre a casa di Dickens a Londra. Mio padre lo adorava e a nessuno era permesso berne. Nessuno ha toccato la tazza di mio padre. Quando mio padre è morto, mia madre me l'ha regalata, ma io non ho mai potuto usarla. È in una teca di vetro speciale, e anche se spesso la tiro fuori e la guardo, non ne berrei mai.” La tomba di Susan Sontag: “Ho scattato una foto della tomba di Susan Sontag per Annie Leibovitz il giorno dopo il funerale di Susan. Faceva molto freddo e la sua tomba era ricoperta di petali bianchi. Annie ha pianto profondamente la perdita di Susan, e quando guardo la foto penso a entrambe.”[4]




Nel modo in cui sceglie gli oggetti appartenuti a poeti, scrittori o familiari e amici, non c'è alcuna differenza, sono tutti oggetti talismano, cambia la relazione che Patti attiva tra la polaroid, piccola custode, e i ricordi. Guarda agli oggetti per il loro valore sentimentale, simbolico. Sono spesso banali, ma hanno avuto un contatto fisico prolungato con la persona che li ha posseduti: il letto di Virginia Woolf a Monk House è lo spirito di Woolf, come la polaroid del suo bastone da passeggio. Delle pantofole di Robert Mapplethorpe realizza due scatti: uno per sé e uno per Lynn Davis, "in modo che anche lei potesse averne un po’". Lo stesso vale per la sedia di Roberto Bolaño“Mi esibivo in Spagna e sono andata a Blanes, dove Roberto Bolaño visse e morì. Volevo fotografare qualcosa che parlasse di lui. Mi è stata data l'opportunità di fotografare la sua sedia. Una sedia insignificante ma era la sedia che amava, su cui sedeva per ore e ore scrivendo il suo capolavoro 2666.”[5] "Avevo scattato quattro foto della sedia, una sedia semplice, che per superstizione si portava dietro da una casa all'altra. Era la sedia su cui si sedeva per scrivere." [6]

Taccuino

Anche una fotografa professionista, amica di Patti Smith, come Annie Leibovitz ha utilizzato l’idea di pellegrinaggio associato ai propri artisti e scrittori preferiti. Centro del lavoro, realizzato tra l’aprile del 2009 e il maggio 2011, dal titolo Pilgrimage, è una raccolta di foto di oggetti appartenuti a varie celebrità che hanno influito in diversa misura sulla sua formazione.

ARC



I principali riferimenti per questo testo sono i seguenti libri:

Susan Lubowsky Talbot (a cura di) Patti Smith Camera Solo, Catalogo, Wadsworth Atheneum Museum Art, Hartford, Connecticut, Yale University Press, New Haven, 2012

Patti Smith, Just Kids, Universale Economica Feltrinelli, Milano, 2010

Patti Smith, M Train, Bompiani, Milano, 2016



[1] Le parole di Patti Smith sono tratte dell’intervista di Susan Lubowsky Talbot svoltasi in occasione della mostra al Wadsworth Atheneum Museum Art di Hartford, Connecticut 2012 in Patti Smith Camera Solo, a cura di Susan Lubowsky Talbot, Catalogo, Wadsworth Atheneum Museum Art, Hartford, Connecticut, Yale University Press, New Haven, 2012, p.9
[2] p.10
[3] p.11
[4] p.15
[5] p.15
[6] Patti Smith, M Train, Bompiani, Milano, 2016, p.36 

1 commento:

  1. Articolo molto interessante
    non tutti conoscono la seconda espressione artistica di questa grande cantante
    Grazie

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