martedì 24 marzo 2020

LA LINEA ROSSA


Aveva staccato un grosso pezzo di carne dallo spiedo, quello stesso pezzo che fino a pochi minuti prima girava sul grill, e lo aveva scagliato nel freezer a pozzetto, nel retrobottega. Mentre ascoltava svogliatamente quel tipo dalla faccia slavata e cerulea, seguitava a sbrigare le pulizie della chiusura. Con una grossa spatola tirava via il grasso dalla leccarda e lo lasciava colare nel bidone degli olii esausti poi, per rifinire, passava un foglio di carta assorbente.
- Loro passano dal bosco, tu sai, vero?
Senza troppa partecipazione, mentre ascoltava le richieste del nuovo potenziale cliente, Shamir versava un po’ a casaccio il contenuto di alcune scodelle in un enorme ciotola che finiva nel frigo. La cipolla terminava la sua esistenza, come ogni sera, nel bidone dell’umido.
- Non è legale, ma loro passano. Vuoi passare pure tu? Non è problema! Cinquecento al buio, mille con piantina.
- Mille? Ma sei scemo. Duecento e non se ne parla più.
- Non io scemo. Io sto qui, tu vuoi andare. Cinquecento al buio e mille con cartina.
- Ma vuoi rifarti su di me perché non vendi più i tuoi panini puzzolenti? Cinquecento con cartina.
- Cinquecento al buio e mille con cartina.
- Settecento.
- Ottocento, con cartina.
- Ladro. Dammi questa cartina qui, strozzino.
Nicola aveva preso il mazzetto di banconote dal portafoglio e le aveva contate di malavoglia.
- Uno, due, tre… otto. E, adesso?
Shamir le aveva infilate nella tasca posteriore dei jeans. Senza nessuna espressione in volto, aveva detto:
- Vai solo?
- No, siamo un gruppo.
- Allora, fai quello che dico io, se no vi scoprono e arrestano, giusto?
- Non ci facciamo arrestare, non ti preoccupare.
- Preoccupare? Non è un mio problema. Ti faccio mappa, tu poi fai altra mappa per i tuoi compari. Io dico a te e tu dici a loro, ok?
- Ok.
Si era pulito le mani unte sul grembiule, dal cassetto delle comande aveva preso un foglio e impugnato un pennarello, con la sicurezza di un professionista aveva cominciato a tracciare una linea su quella che sembrava essere la fotocopia di una mappa.
Shamir, parlava piano, il suo italiano non era perfetto ma scandiva molto chiaramente le parole. Descriveva punto per punto quali sarebbero state le difficoltà; elencava le cose da portare, poi cosa dire e cosa non dire, nel caso fossero stati scoperti. Contrassegnò linee, immaginò salite e discese, boschi, segnacoli e indicazioni di pericoli seguendo un immaginario sentiero tracciato da un pennarello rosso sopra una fotocopia. Ad ogni tappa Shamir alzava lo sguardo e diceva - Giusto? - Nicola rispondeva – Giusto- - Capito? - e lui – Capito-.
Non erano spiccioli, ma Shamir i suoi ottocento euro se li era guadagnati tutti. Conosceva quei tratturi come il suoi puzzolente negozio di kebab. Tanto tempo prima aveva fatto anche lui quella strada, aveva portato tanti disperati oltre il confine, poi aveva deciso di restare da questa parte della linea.
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Nel palazzo nessuno faceva rumore. Non si sentivano neppure i cani del vicino, di solito, molesti a quest’ora del mattino. Non aveva fatto in tempo a sentire le notizie sul traffico. La radio trasmetteva già la sigla finale del giornale radio. Le avrebbe ascoltate in auto. Sapeva di essere in ritardo ma non riusciva a decidersi. Nicola gli aveva detto cosa portare e cosa lasciare.
Tre magliette ben piegate stavano affiancate come soldatini, sul letto, secondo una gradazione di colore che andava dal blu oltremare all’azzurro cielo, non sapeva quale scegliere. Un paio di jeans, un pantalone di jersey grigio, tipo tuta, calzini abbinati, un felpa azzurro aviazione con cappuccio. La decisione cadde sulla maglietta blu oltremare. Ripose tutto nello zaino seguendo la sua consueta sequenza: prima il pantalone di jersey, la maglia e, infine, in alto, il jeans e la felpa. La cuffia, il telo in microfibra e i calzoncini nella sacca laterale, con la borraccia d’acqua minerale, la powerbank, il flaconcino di amuchina. Aveva controllato e ricontrollato il bagaglio più e più volte, tirato fuori tutto, sparso sul letto e poi riposto di nuovo tutto seguendo una differente sequenza. Aveva ripetuto l’azione tre o quattro volte, finché si era deciso a chiudere. Sulle note di Me ne frego di Achille Lauro spense la radio e uscì.
La città era piuttosto silenziosa, pareva la mattina del primo dell’anno, quando tutti dormono dopo aver festeggiato fino all’alba. Il silenzio a cavallo tra la fine di un anno e l’inizio di un altro, uno spazio neutro. Certo, nessuno festeggiava niente, ma questa era l’atmosfera che si percepiva: un momento di sospensione, come uno stop frame da film poliziesco. Tirò su la cerniera del piumino e si diresse verso l’auto. Appoggiò lo zaino sul lato del passeggero e in un gesto automatico guardò l’ora sul cruscotto. - Cazzo è tardi! - avviò il motore e uscì dal parcheggio sgommando. Sintonizzo la radio sulla stazione delle news. Iniziò a piovere. In poco meno di un’ora avrebbe raggiunto gli amici fuori città.
Nei giorni normali, parcheggiare lì era sempre stato un problema. La maggior parte dei frontalieri arrivava all’alba, per prendere i posti migliori. Di solito i gruppi di colleghi superavano la frontiera condividendo l’auto. Oggi, poteva parcheggiare in qualunque stallo. Fece scattare la chiusura automatica, poi la riaprì e la richiuse di nuovo, una, due, tre volte. Faceva sempre così, non si fidava mai della prima. Un sospiro e si avviò a piedi. Vide le auto di Pier Francesco, Sergio e Nicola. Erano già arrivati. Si incamminò. Pioveva ancora. Indossò il kway sopra lo zaino, così da non bagnarlo. Non lo avevano aspettato, doveva andare da solo.
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Prima di comunicare agli altri dell’accordo con Shamir, Nicola aveva fatto quattro copie della mappa, poi le aveva ripassate con il pennarello rosso, cerchiando i punti strategici del viaggio. Aveva inserito ognuna delle mappe in una bustina di plastica. Non sapeva se l’impresa sarebbe andata a buon fine, potevano fermarli, non era la prima volta che qualcuno veniva respinto alla frontiera. Del resto in certe circostanze non è possibile prevedere il futuro.
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Ci sono quelli che restano e quelli che partono. Lui aveva deciso di partire. Forse avrebbe incontrato qualcuno come lui oppure avrebbe camminato da solo, senza nessun conforto, fino alla fine, fino alla libertà.
Avanzava a testa bassa, cercando di mantenere l’equilibrio, scansare la pioggia e non infangarsi troppo. Una pioggia sottile calava senza sosta. Aveva tirato su il cappuccio del kway. Camminava a passo sostenuto da alcune ore. Era esausto. Come aveva detto Shamir, passando per quel sentiero, nessuno di loro avrebbe incontrato particolari pericoli, eppure, sentiva che doveva stare all’erta, non aveva mai attraversato un bosco da solo.
- Sono un impiegato di banca- pensava mentre incespicava nel fango - vivo in una città moderna. Perché cazzo sono qui? Chi me l’ha fatto fare? All’inizio, non ne era del tutto convinto, è vero, ma l’idea di restare solo, rintanato non era una prospettiva piacevole. Non poter andare al lavoro, non vedere più i genitori che vivevano lontano, in un altro paese, la noia lo avrebbe disintegrato.
Quella che stava percorrendo, con ansia e fiducia, era una vecchia via dei contrabbandieri, apparteneva alla ragnatela dei vecchi tratturi battuti nel secolo scorso. Non lo conoscevano neppure i moderni passer. Si fece coraggio. Doveva accelerare e superare la linea prima del tramonto. Qui in montagna il sole calava presto.
La pioggia non si decideva a rallentare, il sentiero fangoso aveva sempre più l’aspetto di un circuito di pozzanghere per rane olimpioniche: un buco, un sasso, un altro buco, foglie fradice, sasso e così via… il tracciato era molto stretto, si inerpicava su una salitina e poi ridiscendeva giù verso una pozzanghera e risaliva. Dopo due ore di sali scendi nella boscaglia, sotto la pioggia, finalmente si era ritrovato all’aperto, in un tratturo ciottoloso, lineare, abbastanza ampio e senza buche.
Finalmente il bosco era alle sue spalle. In lontananza vedeva il cumulo di pietre indicato dalla mappa di Shamir, il primo segnale del confine. Sentiva le labbra aprirsi in un sorriso. Sì, era il confine, finalmente. La porta per la libertà. Doveva lasciare sotto il cespuglio gli abiti sporchi e bagnati, cambiarsi con quelli asciutti. Se lo avessero incontrato i poliziotti di frontiera doveva apparire un comune cittadino che andava per funghi. La pioggia aveva rallentato il suo ritmo, doveva sbrigarsi. Aveva cercato di spogliarsi il più velocemente possibile, in modo da non bagnare la biancheria. Quando si era abbassato per lasciare gli abiti appallottolati, aveva visto sotto il cespuglio una serie di palle di stoffa multicolori, scarpe spaiate, fangose e male in arnese, lasciate lì da gente che aveva camminato fino a consumarsi i piedi. Abbandonato il suo pallone di stoffa, si era vestito con furia.
Superato il primo cumulo di sassi, il segnale della prima linea di frontiera, si era trovato in quella che per convenzione si chiama “zona grigia”, a pochi metri aveva visto un secondo cumulo, che significava “sei passato dall’altra parte”. Superata la zona grigia si era sentito finalmente libero. Riprese il cammino con passo deciso. Camminava sicuro nei suoi nuovi panni asciutti. Era fatta. Il sole scendeva giù velocemente, pochi minuti e sarebbe stato buio. Si era precipitato sulla strada principale, i lampioni gialli, le strade vuote, non c’era nessuno. Illuminato da un lampione giallo si vedeva un edificio quadrangolare, pareva una scuola. Aveva tolto il kway, scrollato lo zaino e recuperato le chiavi dell’armadietto e il gettone per la doccia. Dalle tasche laterali dello zaino aveva preso la cuffietta, il telo in microfibra e i calzoncini. Si era cambiato in fretta e uscito dagli spogliatoi scalzo. – Idiota – si era detto, aveva dimenticato le ciabattine. Arrivato al bordo della vasca, li vide in acqua. Pier Francesco, Nicola e Sergio lo avevano insultato cameratescamente, come facevano in occasioni come queste. Si era sistemato la cuffia e tuffato di testa.
- Ti avevo detto che potevamo farci una bella nuotata, no? disse Sergio.
Nicola gli aveva dato un ceffone sulla testa per esprimere un rimprovero e una affinità fra simili, somiglianza tra l’uomo alfa e quello che in fondo non credeva di farcela. Tra chi pensava di passare la domenica in casa sul divano e chi sapeva che nonostante il decreto anti Covid-19, la chiusura delle palestre, delle piscine e di tutti i locali, seguendo le sagge indicazioni di Shamir, avrebbero potuto farsi qualche vasca nella piscina pubblica di Saint Loren, confine svizzero-italiano. Duecento sacchi a testa, meno di una serata all’Hollywood. Ne era valsa la pena.
- Perché ci hai messo tanto? Non trovavi il sentiero?
- No, non sapevo cosa portare. Ho fatto e rifatto lo zaino, poi ho visto che si faceva tardi e sono partito. Mi sono preso tutta la pioggia, accidenti, non finiva più! La piantina si è scolorita sotto l’acqua e mi ha rallentato. Ma voi il bosco come lo avete fatto? Io pensavo di morire. Ho pure dimenticato le ciabatte, speriamo di non prendere i funghi.
 
 

1 commento:

  1. È stata una piacevole lettura che ritrae bene il momento....è nei momenti difficili che riusciamo a esprimerci al meglio ....Floriana

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