Atsuko Tanaka[1] (1932-2005), membro di Gutai e
straordinaria matriarca di tutte le performer è l’ideatrice del “Vestito
elettrico”, opera di ispirazione futurista e dada, opera-azione di un corpo
elettrificato. Si narra che l’artista abbia immaginato quest’opera ispirata
dalle luci di un’insegna pubblicitaria. <<Me ne stavo seduta – racconta
l’artista – su una panchina della stazione di Osaka, quando ho visto l’insegna
di una pubblicità di prodotti farmaceutici, scintillanti di luci al neon.
Trovato! Voglio fare un vestiti con i neon!>> [2] Quest’opera e il suo
intero lavoro rappresentano ancora oggi un riferimento importante per le artiste.
Lei è stata la prima fra le tante artiste del Sol Levante ad aprire l’arte alla
performance, al corpo come materia artistica. Tanaka introduce corpo e
movimento nell’arte plastica, associa una specie di seconda pelle fatta di un
grappolo di accensioni elettrificate, prefigura quanto la tecnologia si sarebbe
compenetrata alla sfera organica al punto da creare una sovrapposizione
inesorabile tra le nostre funzioni biologiche e gli apparati di provenienza
industriale. Oggi quasi nessuno esce di casa senza avere in tasca uno
smartphone o resta totalmente disconnesso volontariamente, le carte guida delle
città sono oggetti affettivi, chiunque preferisce un navigatore satellitare.
L’opera per la quale è più conosciuta “Il vestito elettrico” raccoglie le suggestioni
di una tecnologia che proprio in Giappone sarebbe esplosa nel culto di un
progresso febbrile, per abbinarlo a movenze corporali, alla dimensione
fisiologica, assimilato proprio nel bagaglio genetico di un’umanità bionica, un
Koden. Koden è un termine piuttosto recente, è la forma contratta di Ko =
individuo e denshi = elettronica e, testimonia la fusione di elementi organici
e inorganici attraverso l’uso di protesi tecnologiche, suona più o meno come
individuo elettrificato. Il lavoro di Tanaka è straordinariamente collegato,
nell’idea di utilizzare la luce elettrica e i suoni, alle intuizioni futuriste
di Luigi Russolo e Umberto Boccioni, sebbene l’interesse per la fusione natura
e artificio hanno già un fondamento nella società giapponese, così come il
concretizzarsi dell’impalpabile, l’interesse per oggetti insignificanti è dada,
seppure è presente nel Satori [3].
Atsuko Tanaka entra a far parte del gruppo Gutai nel
1955, ne uscirà dieci anni dopo, in questo arco di tempo solleciterà
l’interesse per la tecnologia, per il rapporto tra organico e inorganico
ponendo le basi per quell’attrazione che oggi definiamo il sex-appeal
dell’inorganico [4]. Viene introdotta nel gruppo da Akira Kanayama che nel
1952, prima di far parte di Gutai, assieme a Shiraga Kazuo e Saburo Murakami
aveva fondato Zero-Kai, un gruppo artistico sperimentale. L’incontro con Jiro
Yoshihara artista informale, più anziano di tutti loro, teorico del gruppo,
determinerà l’ingresso dei componenti di Zero-Kai in Gutai e per certi versi ne
condizionerà alcuni aspetti specificatamente pittorici.
Tanaka espone per la prima volta con Gutai alla
Ohara Kaikan, in quella che è ufficialmente la I Esposizione Gutai di Tokio nel
1955, con due lavori. Nel primo l’ascendenza duchampiana è esplicita: dei
semplici ritagli di tessuto rettangolare, a prima vista simili a tele vuote in
attesa di essere dipinte. I teli, tuttavia, non sono pensati per ospitare segni
pittorici. Così come a suo tempo Duchamp aveva lasciato filtrare l’aria da una
griglia metallica che si muoveva in base alle leggi del caso, allo stesso modo
Tanaka fa danzare i panni alla brezza fra i corridoi del museo. L’enfasi non
cade sui riquadri di tessuto, puramente strumentali, bensì sul tremolio
provocato dall’aria, elemento concreto benché impalpabile e non visibile a
occhio nudo. Ancora nel 1955 presenta un’opera costituita di 10m² di seta rosa
luccicante posizionata a 30cm da terra lasciata fluttuare al vento. In omaggio
all’artista scomparsa poco prima, nel 2007 l’opera è stata riprodotta per
Documenta 12, a Kassel. Se con i teli la corrente d’aria diventa materia da
esposizione, un altro tipo di corrente, quella elettrica, alimenta i campanelli
di Work (Bell) che l’artista modula su sonorità variabili in un grido
artificiale, in successione tra le stanze del museo. Nel 1956, nella seconda
esperienza all’aperto di Gutai “en plein air” di Ashiya, Tanaka all’apparenza
sembra aver confezionato delle sculture iconiche piuttosto elementari, sette
sagome umanoidi di tela con le quali centra un obiettivo cardinale delle
neoavanguardie ovvero considerare tra gli stimoli sensoriali con l’uso diretto
del corpo, dei muscoli della pelle, anche manifestazioni extraorganiche,
specialmente quando queste si presentano sotto forma di luci artificiali. Ecco,
appunto, sette vestiti enormi disposti in parata a costituire uno sbarramento,
quasi si trattasse di spiriti, di guardiani della notte. E’ proprio al buio che
quei fantasmi di lenzuola escono allo scoperto in un bagliore di luci
elettriche, di tubi luminosi. Altri componenti del gruppo, come accade per
Saburo Muratami con “Aria” 1956, un cubo in vetro (a cui Yoko Ono renderà
omaggio nell’opera Water Piece), Akira Kanayama “Pallone gigante” 1957 rigonfio
d’aria, in espansione costante, all’interno pulsazioni luminose, insistono
orientandosi verso soluzioni extra-artistiche. Il ponte con ciò che Piero
Manzoni sperimenta in questi anni con Corpi d’aria, Linee, Sculture viventi e
scatole è chiaro, ne ritroveremo semi anche in Yoko Ono, Takako Saito e Mieko
Shiomi. La direzione di Tanaka è ancora, però, quella del corpo e della
tecnologia. E’ presente nel 1956 a Ohara Kaikan di Tokio alla II Esposizione
con lavori la cui matrice aprirà interessanti legami con buona parte dell’arte
giapponese a venire. Prosegue nella sua direzione Koden (individuo +
elettrificazione) con l’utilizzo della luce elettrica e assembla un oggetto che
è insieme scultura e tuta da performance, “Il vestito elettrico”. L’opera è un
groviglio di cavi, tubi e bulbi luminosi, coloratissimi, da indossare come
costume di una supereroina manga, di una regina fotonica, di una donna bionica,
un innesto di biologia e artificio. Il corpo e l’abito tornano ancora in una
manifestazione on stage all’Asahi Kaikan di Osaka del 1957 con “Vestiti di scena”.
Sul palco l’artista appare visibilmente ingrossata rispetto alla sua abituale
corporatura, abbigliata a più strati di tessuto che toglie scoprendo altri
vestiti, tutti di colori diversi, fino a rimanere con una tuta aderente. Altre
azioni di Tanaka realizzate quell’anno sono riportate da Jiro Yoshihara in
alcuni scritti, dai quali, seppure brevi e telegrafici si evince la totale
sintonia con il mondo dell’elettronica e il corpo elettrificato: <<Dalla
tenda aperta sul retro appare una forma a croce, sui lati attori che con
indosso vestiti luminosi, e tra loro anche l’autrice, a far spegnere e
accendere piccole lampadine>>[5] Nell’edizione del 1958 sposta
esclusivamente sulla luce e l’immaterialità l’azione realizzando enormi dischi
da cui escono fasci luminosi, in un happening totalmente immateriale. In
sintonia totale con il mondo dell’elettronica sono anche i disegni, strutture
astratto–geometriche non molto distanti dalla bidimensionalità neoplastica di
un Mondrian, Klee e Kandinskij già instradate su linee superflat che rientrano
perfettamente in veri e propri schemi elettrici, schede madri, chip e linee di
raccordo tra bobine, connessioni, cavi, percorsi lamellari. La sua ricerca dopo
il 1965, anno in cui lascia Gutai prosegue da solista. Muore nel 2005. Negli
anni recenti molti omaggi, recuperi hanno messo in luce l’importanza di questa
artista nel panorama contemporaneo.
Taccuino
Il tuo articolo è interessante e formativo come sempre, complimenti alle artiste e grazie a te
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