martedì 21 marzo 2023

Suoni, aria e nebbie. Il flusso dell'invisibile

 



Visito Fluxus arte per tutti. Edizioni italiane collezione Luigi Benotto allestita nello Spazio degli Archivi al Museo del Novecento. Tra valigette, kit, poesia visiva, riviste, ampolle trovo una scacchiera di Takako Saito, una delle artiste delle quali preparavo un post per “Sono arrivate le ragazze”: voci di artiste che mi piacciono, che hanno realizzato opere memorabili e talvolta poco note fatte d’aria, suoni, elettricità, profumi, parole, pensieri, danza, movimenti, corpi e abiti.

Taccuino

Fluxus.[1] Verso la fine degli anni cinquanta, per opera di George Maciunas (1931-1978) (artista di origine lituana, trapiantato negli Stati Uniti, influenzato dalle attività musicali e performative di John Cage degli anni precedenti), Fluxus riporta in superficie il Dadaismo attraverso l’esortazione all’utilizzo straniato di oggetti del quotidiano per indurre ad attività inconsuete; oggetti che i fluxartisti raccolgono in apposite valigette, Fluxbox o Fluxkit, corredate di istruzioni per l’uso, abbinate ad una serie di gesti e azioni suggerite e magari arricchite dall’intervento personalizzato del fruitore. Ciò che caratterizza il gruppo è una totale apertura al linguaggio artistico, a tutti i materiali del mondo e a tutti i flussi dell’esistenza, un uso degli oggetti e del linguaggio del quotidiano inedita, straniante, pari al Koan, il non senso dell’esistenza di fronte al quale il maestro zen pone il discepolo, una sorta di “indovinello senza soluzione dal quale dovrà scaturire la sconfitta dell’intelligenza e l’illuminazione” [2]. 

Il movimento internazionale Fluxus si afferma nel 1961, vi aderiscono artisti provenienti da tutto il mondo. Aderiranno tra i tantissimi Atsuko Tanaka e Yoko Ono, (delle quali parlerò a parte) il gruppo Gutai, Takako Saito, Mieko Shiomi, Fujiko Nakaja protagoniste di questo post. Le sue radici sono nel Dadaismo e in Duchamp, nel saper promuove la realtà, dove una commistione tra i linguaggi possa originare una fluidità vitale, opere nelle quali vento, aria, acqua sono centrali sebbene la capacità di alcuni oggetti di generare suoni assumerà una particolare importanza. Il ruolo centrale di Maciunas come organizzatore, teorico, editore è riconosciuto dagli altri artisti che però mantengono tutti una grande indipendenza e relazioni reciproche molto fluide, non a caso alla morte di Maciunas, nel 1978, di fatto Fluxus si scioglie.

Takako Saito (1929) nonostante la scelta degli scacchi, non sembra nutrire una forte propensione per il gioco in sé, lo fa piuttosto slittare in secondo piano rispetto all’interesse principale di solleticare i sensi e la mente, dirottare l’attenzione sulla natura dei singoli pezzi. Al posto di re, regine, cavalli e pedoni l’artista realizza involucri che volta per volta contengono diversi oggetti per altrettanti suoni come in Sound Chess (1964-1975) agitando i cubetti questi producono gradevoli rumorini; in Smell Chess ad esempio allude all’olfatto così come in Spice Chess che ne rappresenta una variante; Grinder Chess (1964) (esposta in questa mostra) piccole molatrici di diversa grandezza e di diversa consistenza tattile, occupano la scacchiera come tanti piccoli soldatini. Seppure orientata quasi esclusivamente verso il filone scacchiera - ereditato da Marcel Duchamp, grande appassionato di scacchi- ciò che risalta nelle varie proposte è la piena aderenza alla lezione Fluxus di creare opere ironiche, divertenti e soprattutto da “usare”, capaci di fungere da stimolo sensoriale per il pubblico, il quale volendo li poteva ricevere comodamente a casa tramite un servizio di vendita per corrispondenza.

Tra le altre c’è Mieko Shiomi (1938), di Fluxus la più prossima con Air Event (1964) ai Corpi d’aria (1959-60) di Manzoni, che però, ai fiati d’artista oppone quelli dei partecipanti invitati a soffiare aria in appositi palloncini, in conformità all’idea d’interazione Fluxus; non mancano le immancabili istruzioni per l’uso: <<Fai un lungo respiro, riempi d’aria un palloncino di gomma e scrivi sopra il tuo nome (questo è il tuo polmone). Puoi comprare all’asta i polmoni di altri performer>> [3] Shiomi è una musicista, nel 1961 fa parte del gruppo Ongaku il cui desiderio è riorientare la propria attenzione verso l’improvvisazione e riscoprire il significato della musica. Il suono è parte di molte opere di Shiomi come Water Music, che sebbene creato nel 1964, poco prima che andasse a New York, è stato eseguito per la prima volta durante la sua permanenza in città. Questo lavoro esemplifica chiaramente l’attenzione dell’artista sulla partecipazione attiva del pubblico, la consapevolezza delle azioni quotidiane come potenziali performance. Le istruzioni di base recitano: 1. Dare all’acqua una forma ferma. 2. Lascia che l’acqua perda la sua forma immobile. Le ampolle chiedono di ascoltare il suono prodotto dall’acqua a seconda dei recipienti che la contengono.

E’ nota come <<scultrice della nebbia>> Fujiko Nakaja (1933) artista dell’elemento concreto benché impalpabile realizza il suo primo intervento di nebbia per il Pepsi Pavilon, Expo ’70 a Osaka. Utilizza dispositivi di nebulizzazione e acqua brevettati sia nell’hardware che nel flusso d’aria; negli anni a seguire li riproporrà in spazi aperti e chiusi, anche in collaborazione con altri artisti. Le sue installazioni smaterializzate immergono il pubblico in una nebbia artificiale, nuvole che avvolgono e disorientano, come passeggiare tra banchi di nebbia perdendo l’orientamento. Ancora una volta natura e artificio si uniscono per mezzo della tecnologia. Non solo corpi cyborg, esseri Koden ma natura artificiale e direzionata.

ARC


I principali riferimenti per questo testo sono i seguenti libri:

Fabriano Fabbri, Lo zen e il Manga. Arte contemporanea giapponese, Bruno Mondadori, Milano, 2009

Umberto Eco, Opera Aperta, “Lo zen e l’occidente”, Bompiani, Milano 1967


[1] Fabriano Fabbri, Lo zen e il manga. Arte contemporanea giapponese, Bruno Mondadori, Milano, 2009,

[2] “Lo zen e l’Occidente”, in Umberto Eco, Opera Aperta, Bompiani, Milano, 1967, p.214.

[3] J. Hendricks, Fluxus Codex, New York, 1988, cit., p.475

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