martedì 21 marzo 2023

Lo zen in un pompelmo

 




<<Dopo esserci bloccati la mente, liberandoci dalle percezioni visive, acustiche e cinetiche cosa uscirà da noi? I miei eventi sono essenzialmente fondati sulle domande>> [1] 

Yoko Ono (1933) è un'artista concettuale in piena sintonia Fluxus, movimento a cui aderisce confezionando, almeno all’inizio, più che oggetti frasi, flash del linguaggio, preparazioni a portata di mano. Progettato a partire dal 1962,  Grapefruit. Istruzioni per l’arte e per la vita [2] racchiude il Yoko Ono flusso . Sfogliandolo si accede ad una miriade di performance, di atti anomali da eseguire volendo e avendone il coraggio, in ogni luogo, in ogni momento. E’ suddiviso in nove capitoli non necessari poiché è da subito evidente l’approccio di Yoko Ono con il tutto attraverso l’abbattimento delle barriere spazio-temporali, la copertura capillare del pensiero e della comunicazione. Essere connessi tutti con tutto: <<Ci sono mille soli che sorgono ogni giorno. Noi ne vediamo uno solo a causa della nostra fissazione per il pensiero monistico>>. [3] Ogni capitolo è dedicato ad una forma d’arte: musica, pittura, poesia, film, danza, architettura e altri frammenti sparsi, ai testi si accompagnano molti disegni, tra i quali ingegnose linee (di manzoniana memoria) da pensare con la mente: alcune soffrono, altre sono puzzolenti, un’altra una volta era un cerchio. Le istruzioni di Yoko Ono si polarizzano su due estremi del possibile e dell’impossibile, si avvalgono punti di vista insoliti, inaspettati, sono frequenti le istruzioni che riferiscono a l’idea di registrare su supporti mediatici, alcune attivano in noi stupore, altre fastidio, sconcerto conservando il sapore straniante del Koan.[4]

Alcune istruzioni Grapefruit:

·     Chiedi a 500 persone di pensare allo stesso numero di telefono contemporaneamente per un minuto in un momento prestabilito.

·    Chiedi a tutti in città di pensare la parola “sì” nello stesso momento per 30 secondi.

   · Immagina che il tuo corpo espanda rapidamente su tutto il mondo come tessuto sottile.

   · Porta avanti tutti gli orologi del mondo di due secondi senza farlo sapere a nessuno.

   ·  Sussurra. Chiedi al vento di portarlo alla fine del mondo.

·     Invia messaggi olfattivi col vento.

·   Spedisci un vento intorno al mondo finché non diventi una brezza molto delicata.

·      Prescrivi pillole per attraversare il muro e far tornare solo i capelli

·   Usa il tuo sangue per dipingere. Continua a dipingere, a) continua dipingere finché svieni. b) Continua a dipingere finché muori.

      · Fa una chiave. Trova la serratura corrispondente. Se la trovi, brucia la casa a cui è attaccata.

·    Colpisci il muro con la testa.

·     Gira tutta la città con una carrozzina vuota.

        ·  Quando intrattieni gli ospiti, tira fuori la biancheria del giorno e spiega loro di ciascun capo. Come e quando si è sporcato e perché ecc.

·    Disegna una mappa per perderti.

·    Registra il suono della stanza che respira

· Metti su nastro tua moglie che si pettina ogni giorno. Conservalo. Seppelliscilo con lei quando muore.

·  Ascolta il suono dell’acqua sotterranea.

·  Ascolta il cuore che batte.

·      Metti su nastro le voci dei pesci in una notte di luna piena.

 


La prima mostra ufficiale è del 1961, a New York sotto il patronato dell’amico Maciunas e Fluxus. Un gioco di ombre del mondo rovesciato Shadow Painting, un pezzo di realtà che chiede attenzione dietro uno schermo trasparente Painting to Let The Evening Ligh go Through. Ma la performance più nota di Yoko Ono rimane Cut Piece (1964), presentata il 21 marzo 1965 al Carnegie Recital Hall, New York. L’artista impone la sua nudità per mezzo dell’azione del pubblico: gli spettatori sono invitati a impugnare un paio di forbici e tagliare i suoi vestiti. Spogliati di ogni ipocrita falsità molti rappresentanti del genere umano tirano fuori il peggio delle loro energie negative e il meglio delle positive. In balia di estranei, Ono anticipa azioni a cui siamo oramai abituati, divenute una costante della performance di molte artiste. Cut Piece non è però la prima performance di Yoko Ono, l’esordio è con Lighting Piece nel 1962, anno di scrittura e composizione di Grapefruit. Con questa prima azione stabilisce inequivocabilmente un nesso tra le istruzioni contenute nel libro, non ancora edito, e le traduzione in azione.  Prima o poi, le istruzioni del libro pompelmo avrebbero varcato la soglia della dimensione immateriale della mente per incarnarsi in fisiche performance, di oggetti agiti. L’artista siede davanti ad un pianoforte, trascura del tutto lo strumento e lascia che il fulcro dell’azione non sia l’esecuzione di un musica, ma un fiammifero lasciato sullo sgabello ad esaurirsi nella sua elementare combustione. In Piece Bag 1964, Sogetsu Art Center di Tokio, i visitatori sono invitati ad entrare all’interno di un involucro e fare ciò che vogliono: dormire, fare una conferenza stampa, come in realtà è accaduto. Alla Lisson Gallery di Londra nel 1966 espone Mend Piece un insieme di cocci su un piedistallo. Nessun significato simbolico, surreale, metafisico, accompagnati da tubetto di colla, ago e filo sono in attesa di una riparazione. Le correlazioni con le istruzioni del pompelmo sono continue e corrono in due direzioni. Oggetto per la mente. Opera da apprezzare una volta frantumata. Corredato a una delle istruzioni di Grapefruit è anche Water Piece che prevede l’annaffiatura di una spugnetta con un contagocce, da ripetere ogni giorno come gesto tanto inutile quanto distensivo, più o meno come curare la ghiaia del giardino zen. Il tutto poggia su un cubo trasparente, come quello di Saburo Murakami, “Aria” 1956.

Grapefruit è una fonte inesauribile di azioni, oggetti agiti, performance. Una serie di macchine pensate e realizzate provengono direttamente dall’incarnazione degli haiku del pompelmo, ad esempio la Macchina piangente lacrimosa e lagnosa, la Macchina volatilizzante un dispositivo per far sparire gli oggetti inseriti al suo interno, la Macchina del pericolo in cui si entra e non si sa in che condizioni si esce. La Sky machine emette un cartoncino con su scritto cielo e Air dispenser al prezzo di 25cent elargisce una capsula di aria. Duchamp, Gutai e Manzoni aleggiano attraverso il pensiero zen. Le macchine evocano tutte il mondo infantile dei distributori di caramelle, dei piccoli desideri, sono macchine che invitano a rivolgere al mondo uno sguardo puro, uno slancio ludico verso elementi naturali e artificiali.

 Taccuino

Lo zen [5] ha come finalità primaria impedire qualsiasi forma di calcificazione del pensiero e dei modi di vivere sclerotizzati, che invece di rimandare a qualche entità ultraterrena con potere di governare il creato, si rivolge alle cose di questa terra spostando su di loro il valore di una sacralità incarnata. La pratica è un resettaggio mentale, azzeramento di nozioni e saperi, al fine di liberare mente e corpo dai condizionamenti che incrostano individuo e collettività. La sacralità degli eventi mondani si rivela nella sconfinata frammentazione della quotidianità, sia essa nobile o abietta. La realtà è colta nella sua immediatezza che ha nel Satori improvvisa illuminazione di realtà che si rivela nella sua gratificante pienezza, una delle sue finalità. Una deflagrazione delle cose stesse liberate dalla limitatezza di una visione parziale e menomata dalla pochezza degli schemi abitudinari che può prendere la forma di un ricordo riaffiorato inaspettatamente o di una intuizione folgorante. Tra gli espedienti per il raggiungimento del Satori lo zen ricorre all’esercizio del Koan, paradossi, rompicapi, indovinelli che richiedono soluzioni esterne ad ogni logica plausibile, acrobazie mentali, impossibili da superare con i parametri della normalità. Ne viene una dedizione agli aspetti minimi della vita, quegli aspetti mondani che quasi mai attraggono l’attenzione.

ARC


I riferimenti principali per questo testo sono i seguenti libri:

Fabriano Fabbri, Lo zen e il Manga. Arte contemporanea giapponese, Bruno Mondadori, Milano,  2009

Grapefruit. Istruzioni per l’arte e per la vita, Mondadori Milano, 2005

Umberto Eco, Opera Aperta “Lo zen e l’occidente”, Bompiani, Milano, 1967



[1] Fabriano Fabbri, Lo zen e il Manga. Arte contemporanea giapponese, Bruno Mondadori, Milano,  2009

[2]  ivi., p.61

[3] Grapefruit. Istruzioni per l’arte e per la vita, Mondadori Milano, 2005

[4] Ivi., p.67

[5] “Lo zen e l’occidente” in Opera Aperta, Umberto Eco, Bompiani, Milano, 1967

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