<<Dopo esserci bloccati la mente, liberandoci dalle percezioni visive, acustiche e cinetiche cosa uscirà da noi? I miei eventi sono essenzialmente fondati sulle domande>> [1]
Yoko Ono (1933) è un'artista concettuale in piena sintonia Fluxus, movimento a cui aderisce confezionando, almeno all’inizio, più che oggetti frasi, flash del linguaggio, preparazioni a portata di mano. Progettato a partire dal 1962, Grapefruit. Istruzioni per l’arte e per la vita [2] racchiude il Yoko Ono flusso . Sfogliandolo si accede ad una miriade di performance, di atti anomali da eseguire volendo e avendone il coraggio, in ogni luogo, in ogni momento. E’ suddiviso in nove capitoli non necessari poiché è da subito evidente l’approccio di Yoko Ono con il tutto attraverso l’abbattimento delle barriere spazio-temporali, la copertura capillare del pensiero e della comunicazione. Essere connessi tutti con tutto: <<Ci sono mille soli che sorgono ogni giorno. Noi ne vediamo uno solo a causa della nostra fissazione per il pensiero monistico>>. [3] Ogni capitolo è dedicato ad una forma d’arte: musica, pittura, poesia, film, danza, architettura e altri frammenti sparsi, ai testi si accompagnano molti disegni, tra i quali ingegnose linee (di manzoniana memoria) da pensare con la mente: alcune soffrono, altre sono puzzolenti, un’altra una volta era un cerchio. Le istruzioni di Yoko Ono si polarizzano su due estremi del possibile e dell’impossibile, si avvalgono punti di vista insoliti, inaspettati, sono frequenti le istruzioni che riferiscono a l’idea di registrare su supporti mediatici, alcune attivano in noi stupore, altre fastidio, sconcerto conservando il sapore straniante del Koan.[4]
Alcune
istruzioni Grapefruit:
· Chiedi a
500 persone di pensare allo stesso numero di telefono contemporaneamente per un
minuto in un momento prestabilito.
· Chiedi a
tutti in città di pensare la parola “sì” nello stesso momento per 30 secondi.
· Immagina che il tuo corpo espanda rapidamente su tutto il mondo come tessuto sottile.
· Porta avanti tutti gli orologi del mondo di due secondi senza farlo sapere a nessuno.
· Sussurra. Chiedi al vento di portarlo alla fine del mondo.
· Invia
messaggi olfattivi col vento.
· Spedisci un
vento intorno al mondo finché non diventi una brezza molto delicata.
· Prescrivi
pillole per attraversare il muro e far tornare solo i capelli
· Usa il tuo
sangue per dipingere. Continua a dipingere, a) continua dipingere finché
svieni. b) Continua a dipingere finché muori.
· Fa una chiave. Trova la serratura corrispondente. Se la trovi, brucia la casa a cui è attaccata.
· Colpisci il
muro con la testa.
· Gira tutta
la città con una carrozzina vuota.
· Quando intrattieni gli ospiti, tira fuori la biancheria del giorno e spiega loro di ciascun capo. Come e quando si è sporcato e perché ecc.
· Disegna una
mappa per perderti.
· Registra il
suono della stanza che respira
· Metti su
nastro tua moglie che si pettina ogni giorno. Conservalo. Seppelliscilo con lei
quando muore.
· Ascolta il
suono dell’acqua sotterranea.
· Ascolta il
cuore che batte.
· Metti su
nastro le voci dei pesci in una notte di luna piena.
La prima mostra ufficiale è del 1961, a New York sotto il patronato dell’amico Maciunas e Fluxus. Un gioco di ombre del mondo rovesciato Shadow Painting, un pezzo di realtà che chiede attenzione dietro uno schermo trasparente Painting to Let The Evening Ligh go Through. Ma la performance più nota di Yoko Ono rimane Cut Piece (1964), presentata il 21 marzo 1965 al Carnegie Recital Hall, New York. L’artista impone la sua nudità per mezzo dell’azione del pubblico: gli spettatori sono invitati a impugnare un paio di forbici e tagliare i suoi vestiti. Spogliati di ogni ipocrita falsità molti rappresentanti del genere umano tirano fuori il peggio delle loro energie negative e il meglio delle positive. In balia di estranei, Ono anticipa azioni a cui siamo oramai abituati, divenute una costante della performance di molte artiste. Cut Piece non è però la prima performance di Yoko Ono, l’esordio è con Lighting Piece nel 1962, anno di scrittura e composizione di Grapefruit. Con questa prima azione stabilisce inequivocabilmente un nesso tra le istruzioni contenute nel libro, non ancora edito, e le traduzione in azione. Prima o poi, le istruzioni del libro pompelmo avrebbero varcato la soglia della dimensione immateriale della mente per incarnarsi in fisiche performance, di oggetti agiti. L’artista siede davanti ad un pianoforte, trascura del tutto lo strumento e lascia che il fulcro dell’azione non sia l’esecuzione di un musica, ma un fiammifero lasciato sullo sgabello ad esaurirsi nella sua elementare combustione. In Piece Bag 1964, Sogetsu Art Center di Tokio, i visitatori sono invitati ad entrare all’interno di un involucro e fare ciò che vogliono: dormire, fare una conferenza stampa, come in realtà è accaduto. Alla Lisson Gallery di Londra nel 1966 espone Mend Piece un insieme di cocci su un piedistallo. Nessun significato simbolico, surreale, metafisico, accompagnati da tubetto di colla, ago e filo sono in attesa di una riparazione. Le correlazioni con le istruzioni del pompelmo sono continue e corrono in due direzioni. Oggetto per la mente. Opera da apprezzare una volta frantumata. Corredato a una delle istruzioni di Grapefruit è anche Water Piece che prevede l’annaffiatura di una spugnetta con un contagocce, da ripetere ogni giorno come gesto tanto inutile quanto distensivo, più o meno come curare la ghiaia del giardino zen. Il tutto poggia su un cubo trasparente, come quello di Saburo Murakami, “Aria” 1956.
ARC
I riferimenti principali per questo testo sono i seguenti libri:
Fabriano Fabbri, Lo zen e il Manga. Arte contemporanea giapponese, Bruno Mondadori, Milano, 2009
Grapefruit. Istruzioni per l’arte e per la vita, Mondadori Milano, 2005
Umberto Eco, Opera Aperta “Lo zen e l’occidente”, Bompiani, Milano, 1967
[1] Fabriano
Fabbri, Lo zen e il Manga. Arte
contemporanea giapponese, Bruno Mondadori, Milano, 2009
[2] ivi., p.61
[3] Grapefruit. Istruzioni per l’arte e per la vita, Mondadori Milano, 2005
[4] Ivi., p.67
[5] “Lo zen e l’occidente” in Opera Aperta, Umberto Eco, Bompiani,
Milano, 1967
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